Quando si installa un addolcitore per le acque potabili bisogna anche regolarlo in modo che l’acqua che produce possegga dei valori che siano adeguati. In pratica l’acqua che esce da un addolcitore, per essere ritenuta potabile, e non recare problemi agli impianti domestici e agli esseri umani, deve rispettare i limiti imposti dal Decreto Ministeriale 25, del 7 febbraio 2012 che, alla luce del D. M. 443 del 21 dicembre 1990 e successivi, letteralmente stabilisce prescrizioni tecniche relative alla apparecchiature per il trattamento dell’acqua destinata al consumo umano.
In particolare, il DM 25/2012, considerando che l’acqua che viene immessa in rete dall’acquedotto municipale già rispetta i parametri di potabilità, stabilisce il rispetto di tre parametri fondamentali.
Il primo riguarda il tasso di demineralizzazione dell’acqua trattata, il secondo indica tempi e modalità di conservazione dell’acqua che esce da un addolcitore, il terzo la presenza obbligatoria di un dispositivo che eviti il ritorno dell’acqua trattata nella rete pubblica, e che consenta di bypassare del tutto l’acqua che esce dall’addolcitore, immettendo in casa solo acqua dell’acquedotto.
Dei tre punti, soprattutto il primo riveste un’importanza fondamentale per il consumatore. Tra le varie ragioni infatti, il Legislatore tiene conto del fatto che la demineralizzazione eccessiva dell’acqua non la renderebbe più potabile, ma sortirebbe un effetto contrario. Questo perché un’acqua così trattata sarebbe privata in maniera sproporzionata dei suoi micronutrienti e sali minerali, che sono indispensabili per la corretta alimentazione organica. Sali che, tra l’altro, sono assolutamente fondamentali per gli individui che, come riporta la nota dell’OMS, posta a margine del testo dello stesso DL, ricevano contributi marginali degli stessi elementi da altre fonti alimentari, quali per esempio individui intolleranti al lattosio o praticanti di diete pressoché esclusivamente vegetali.
Ma l’Organizzazione Mondiale della Sanità non si limita a questa specifica alimentare ma invita, e la Legge lo impone, a fare in modo che chi vende, e chi installa questi apparecchi di trattamento delle acque, informi correttamente i consumatori. Costoro, infatti, devono essere messi a conoscenza della reale composizione minerale che acquista l’acqua dopo il trattamento, e delle possibili conseguenze. E ciò perché un’acqua che è stata privata, sia pure parzialmente, degli elementi indurenti, come calcio e magnesio, ed eccessivamente addizionata dei sali di sodio, potrebbe avere, a lungo andare, degli effetti nocivi sull’organismo di chi l’assume. Per questa ragione è necessario che l’acqua distribuita come potabile, trattata o meno che sia, anche privatamente, deve essere accompagnata da una tabellina con la misurazione, minimo massima, dei suoi valori fondamentali, tra i quali c’è anche la sua durezza.
Durezza che il D. L.gs. 31/2001 misura, per un’acqua che possa essere considerata potabile, tra i 15 e i 50 gradi F. Ma quale sia realmente la durezza dell’acqua che esce da un addolcitore non è un calcolo che si possa fare automaticamente. Anzi tocca proprio all’installatore quando monta, e avvia l’addolcitore, regolarla in modo che rispetti quanto meno i parametri di base. E il parametro base della durezza dell’acqua che esce da un addolcitore, dopo il trattamento, non dovrebbe mai scendere, per legge, al di sotto dei 15 gradi F. I gradi F, o gradi francesi, rappresentano il sistema usato in Italia per misurare la durezza dell’acqua. Un grado francese, in pratica, corrisponde ad un grammo molecolare di sali di Calcio e Magnesio, combinati assieme, rispetto ad un volume di 100 litri di acqua. Quindi se un’acqua presenta una durezza di 30 gradi F, questo significa che che ci sono 30 grammi di CaCO3 ogni 100 litri, o, meglio 0,30 grammi di CaCO3 in un litro d’acqua.
Giusto per avere un’idea della differenza, considera che per le acque meteoriche, che sono quasi prive di sali minerali, la durezza si aggira intorno ad 1 grado francese, mentre per alcune acque di sorgiva, che attraversano falde sotterranee dolomitiche e gessose, la durezza supera abbondantemente i 50 gradi F.
Per quello che riguarda la classificazione delle acque, infatti, fino ai 14 gradi sono considerate dolci, mentre sono mediamente dure dai 14 ai 22 gradi, discretamente dure fino ai 32 gradi, dure fino ai 54 gradi, e molto dure oltre i 54 gradi F. Di fatto la legge impone che l’acqua che esce dall’addolcitore non abbia meno di 15 gradi F e che il sodio disciolto non superi la quantità di 200 mg per litro, o, addirittura, come in Lombardia, venga limitato ad un massimo di 150 mg/l. Una regolazione dei valori che tocca all’installatore fissare in fase di installazione, e al manutentore mantenere pressocché costanti, durante il suo utilizzo, con delle misurazioni.
Misurazioni che vanno effettuate sulla durezza dell’acqua in entrata, e sul quantitativo di acqua da addolcire, per ottenere, alla fine, un’acqua da immettere nelle tubature con un valore che non scenda sotto i 15 gradi F. In alcuni casi l’acqua dell’acquedotto è talmente dura che l’addolcitore, regolato correttamente, distribuisce un’acqua sui 15 gradi F, e 200 mg/l di sodio, senza altri accorgimenti. In altri casi, invece, bisogna intervenire sul miscelatore collocato a monte, e immettere nelle tubature sia acqua addolcita che acqua diretta, in modo da raggiungere i valori ideali. Il rispetto dei valori corretti infatti, sia come riduzione dei carbonati che come concentrazione di sodio, mantiene la potabilità reale dell’acqua, e riduce i consumi eccessivi, da parte dell’addolcitore, di sale di sodio e di acqua di lavaggio.
Ultimo aggiornamento 2024-11-15 / Link di affiliazione / Immagini da Amazon Product Advertising API